Disabile con capacità o disabile con capacità residue?

Una riflessione di Alberto Alberani, Responsabile di Legacoopsociali Emilia Romagna.

Dalla metà degli anni ‘70 si è avviato un dibattito attorno alla parola handicappato, portatore di handicap, disabile, che ha fra l’altro portato alla definizione di diversamente abile o diversabile durante l’anno europeo dedicato alle persone disabili.

 

Non è mia intenzione riproporre la riflessione su questo dibattito, ma vorrei esprimere alcune considerazioni in merito all’utilizzo del termine capacità residue.

 

30 anni fa, quando iniziai a lavorare nei centri per disabili gravi, non mi piaceva trovarmi di fronte a progetti che chiedevano a noi educatori quali attività avevamo intenzione di mettere in atto per "perseguire l’obiettivo di potenziare le capacità residue" delle persone disabili con cui ci relazionavamo quotidianamente.

Le domande che mi ponevo sempre erano: residuo di cosa? dove vado a recuperare questa residualità? a cosa devo rapportare la residualità? a quale “normalità”?.

 

Ancora oggi, anche in importanti documenti (nell’ ICDH 2, nella Legge 68, in documenti regionali) riscontro che questo abbinamento continua ad essere utilizzato e continua a non piacermi. Anche se sono passati molti anni, la domanda che mi pongo e che pongo è la seguente: è possibile abolire dalle nostre relazioni, dal nostro vocabolario l’abbinamento capacità-residue e utilizzare solo la parola capacità?  O è giusto mantenere la parola residuo? 
Residuo: ciò che resta, che avanza di qualcosa. Capacità: attitudine, abilità a fare qualcosa.
Queste sono le definizioni, date ai termini capacità e residuo dal Dizionario Sabatini-Coletti, che forse possono aiutarci ad approfondire questa prima breve riflessione.

 

Dal 1992 con la legge 104 si è cercato di introdurre un diverso approccio culturale nei confronti delle persone disabili, introducendo strumenti e metodiche che consentono di valutare la persona nel suo insieme, soprattutto in termine di capacità positive, inducendoci a rivolgere l’attenzione a ciò che una persona può fare piuttosto che a ciò che non riesce a fare.

 

Che bisogno abbiamo allora di abbinare alla parola capacità la parola residuo? Ritengo che il mantenimento di questo abbinamento sia un ritorno o un mantenimento ad una concezione e ad una cultura che continua a pensare che una persona disabile è tale perché esprime capacità diverse dalla “normalità” probabilmente dimenticandosi che una persona disabile è prima di tutto una persona originale, con proprie originali capacità che non sono residue rispetto ad una vago concetto di normalità.
Per potenziare la valorizzazione delle capacità siamo disposti a rinunciare alla parola e all’identificazione del “residuo” concentrando l’attenzione sulle capacità?

 

Sono domande e riflessioni e mi rendo conto che parlare di capacità-capacità residue richiederebbe uno spazio ed un tempo adeguato; l’auspicio è che si possa sviluppare una riflessione specialmente all’interno dei servizi diurni e residenziali con il condiviso spirito di continuare a promuovere la migliore integrazione e inclusione delle persone disabili.

 

Alberto Alberani
Responsabile di Legacoopsociali Emilia Romagna