La sezione soci di Cadiai a Roma negli anni settanta

50 anni di storie dai verbali di Cadiai
Di Tito Menzani

Cadiai opera da sempre a Bologna e provincia. Negli ultimi anni ha fatto qualche incursione a Milano o in altre località al di fuori dell’Emilia-Romagna, ma per lo più per gestire servizi circoscritti e appalti relativamente piccoli. Insomma, è percepita come una cooperativa sociale fortemente radicata nel territorio bolognese, che qui è nata e che qui si è progressivamente sviluppata.


Pochi sanno che, nella seconda metà degli anni settanta, Cadiai ebbe per qualche tempo una sezione soci a Roma. Per spiegare le ragioni di un tale assetto, occorre partire dalle origini della cooperativa. Cadiai nacque il 30 settembre 1974 per iniziativa di 27 soci fondatori: 24 donne e 3 uomini. Si trattava di persone che operavano in quello che all’epoca era il nascente settore del welfare, presso le famiglie della Bologna-bene che avevano bisogno di una badante o di una babysitter. Era un lavoro precario e informale, senza un contratto e senza diritti.
Basti pensare che nell’atto costitutivo di Cadiai la stragrande maggioranza delle socie compare come di professione «casalinga». Ma non era vero. In realtà lavoravano: ma in nero e saltuariamente, spesso malpagate, ma soprattutto senza la possibilità di maturare ferie, di versare dei contributi ai fini pensionistici, di potersi mettere in malattia in caso di bisogno. A metà degli anni settanta, la figura professionale che oggi chiamiamo assistente domiciliare non era riconosciuta e viveva in un limbo di informalità.


Cadiai nacque proprio per cercare di dare dignità a questo lavoro, attraverso un inquadramento contrattuale. Infatti, si iniziò una battaglia presso le istituzioni per vedere riconosciuta la figura professionale dell’assistente domiciliare. Inizialmente, la prospettiva era quella di un provvedimento che avrebbe riguardato solo i soci e le socie di Cadiai, ovvero della cooperativa che voleva regolarizzare un mestiere in precedenza precario e informale, e che quindi stava facendo da apripista nell’incipiente ambito del welfare.
Ecco allora che alcune persone che operavano a Roma interloquirono con Cadiai per ricondurre sotto le sue insegne l’attività di assistenza e di cura che svolgevano nella capitale. In questa maniera avrebbero regolarizzato il proprio mestiere e contribuito pure attivamente alla battaglia per ottenere un riconoscimento formale da parte delle istituzioni. Fu così inaugurata la sezioni soci di Cadiai a Roma.


E la battaglia fu vinta. La serrata trattativa tra Vittoria Lotti, presidente della cooperativa, e la Ministra del lavoro, Tina Anselmi, diede i suoi frutti. Il 22 novembre 1978, sulla Gazzetta ufficiale, si identificava la categoria dei lavoratori dell’assistenza domiciliare, con tanto di salario medio (3.000 lire giornaliere) e relative specifiche tecniche. La normativa avrebbe riguardato tutte quelle imprese del settore, cooperative e non. Di fatto, non sussistevano più i motivi che avevano indotto alcuni lavoratori e lavoratrici a entrare nella base sociale di Cadiai, costituendo una specifica sezione a Roma. Per cui si staccarono dalla casa-madre, dando vita a una cooperativa autonoma. Anche se la memoria di quei fatti è oggi un po’ offuscata e molte persone coinvolte in quelle vicende non ci sono più, la storia ci riconsegna i contorni di una rivendicazione preziosa in termini di diritti – vissuta tra Bologna Roma –, nella quale Cadiai ricopre un ruolo di protagonista in un intero settore.